Si… Hai letto bene… Il titolo di questo articolo ti ha incuriosito? Una guida per discolparci, cosa vorrà dire? E su cosa, poi? Se sei qui, forse di qualcosa vuoi davvero discolparti!
Gli oggetti e la loro funzione
In questo articolo si parla di design: partiamo dal presupposto che il design nasce per rendere più facile il nostro rapporto con gli oggetti. Quanti ne abbiamo costantemente davanti agli occhi, cinquanta, cento, diecimila? Non fa differenza, ognuno di loro è stato creato per facilitarci la quotidianità, teoricamente.
La verità è che in molti casi il design ha, “per rabbia consumistica”, generato oggetti puntando molto più sull’estetica e complicando macchine che nella loro semplicità svolgevano in modo impeccabile il compito.

Questo non vuole essere un articolo arrogante, bensì una riflessione a ritroso, passando per il paradossale e tornando alle origini degli oggetti. Ora scopriamo come…
Apriamo le danze menzionando uno dei massimi esponenti mondiali di design, ergonomia e scienze cognitive degli oggetti: Donald A. Norman. Nella sua carriera pubblica moltissimi lavori (divenuti pilastri del design) e oggi parleremo di un’opera in particolare.
Nel suo eccezionale libro “La caffettiera del masochista” del 1988, Norman descrive i frequenti errori che ciascuno di noi commette usando oggetti quotidiani, e lo fa evidenziandone gli sbagli progettuali ed esponendo la sua tesi a critica della discutibile ergonomia per alcuni di questi prodotti.

“Quando un dispositivo semplice dev’essere accompagnato da un manuale d’istruzioni – sia pure un manuale di una parola sola – c’è un difetto: cattivo design.” – Estratto da “La caffettiera del masochista”
Se ci fermiamo a pensare, quante volte noi tutti siamo rimasti bloccati da una porta di cui non si capiva se per uscire si dovesse tirare invece che spingere?
Eppure, in quel momento ci sentiamo colpevoli, no? Ci sentiamo goffi, forse anche un po’ tonti per non esser riusciti a comprendere al primo colpo come aprire una porta, apparentemente un’operazione semplice.
Spoiler: non è colpa nostra! Tranquilli, ci pensa Norman a farci cambiare prospettiva.
Nel suo libro, uno dei primi casi che utilizza come esempio di “cattivo design”, è l’intramontabile porta a vetri di grandi palazzi: un suo collega rimane bloccato nell’ingresso di un ufficio postale costituito da vetrate lungo tutto il lato di accesso e uscita, e di cui appunto non ne capiva quale fosse realmente la via d’uscita. Bello il design elegante e minimale, probabilmente (ironizza Norman) il progettista di quella porta avrà anche vinto un premio.
La colpa non è del suo collega (o di chiunque di noi sia incappato nelle grinfie di una porta indecifrabile), bensì di chi ha progettato questi prodotti senza considerare che le risposte dovrebbero risultare chiare dal disegno dell’oggetto, senza dover aggiungere cartelli o simboli e certamente senza bisogno di procedere per tentativi ed errori come la maggior parte di noi si trova spesso a fare.

Design, tra ironia e paradossi
Negli ultimi anni, sempre più artisti hanno messo in discussione gli oggetti ricorrenti della quotidianità, per portare a una riflessione generale sul senso di ciò che abbiamo attorno. Se ci pensate, nella nostra routine quotidiana veniamo a contatto con moltissimi oggetti, cui siamo talmente abituati da non chiederci mai il perché della loro forma e funzione.
Menzioniamo ancora Norman: ne “La caffettiera del masochista” non manca di citare Jacques Carelman, eclettico artista francese che nel 1969 pubblica il Catalogo degli oggetti introvabili, una rassegna di più di 400 illustrazioni d’oggetti quotidiani reinventati e resi completamente inutili, paradossalmente tutto il contrario di quello che fa il buon design.
Tra questi oggetti introvabili, vediamo la celebre caffettiera del masochista, utilizzata da Norman in copertina al suo libro.

Con il beccuccio ruotato verso la mano dell’utilizzatore, la funzione della caffettiera viene meno: un oggetto impossibile dal quale il liquido bollente deve necessariamente essere versato sulla mano di chi la impugna.
Sembra quasi una tortura, vero? Al solo pensiero ci tocchiamo le nostre povere mani!
Eppure è proprio questo lo scopo di Carelman: prima scaturisce una risata e subito dopo siamo inconsciamente invitati a riflettere sulla funzionalità degli oggetti, considerando come basti poco per privarli della loro funzione originaria –data per scontata. Prendendo gli stessi addendi e cambiandone posizione, gli oggetti di fatti non hanno più senso.
Troviamo affascinante la creatività di Carelman, tra le irriverenti illustrazioni possiamo ammirare oggetti che sarebbero degni di figurare in cronache fantascientifiche, come la vasca da bagno a portiera, ideata forse per i più pigri? E ancora, il letto per equilibristi, il cucchiaio-pettine (per togliere capelli malauguratamente caduti nella minestra), l‘erogatore automatico per “mettere i puntini sulle i” e l’inutile macchina per scrivere con i geroglifici egizi.


In realtà questi oggetti introvabili, dietro il loro aspetto inoffensivo nascondono forse un’ironica critica: sono poi tanto più inutili e disfunzionali delle centinaia di oggetti da cui siamo costantemente circondati?
Molti artisti e designers contemporanei hanno iniziato a domandarsi quale fosse il reale nesso tra forma e funzione. I lavori che andremo a illustrarvi sono incentrati in particolare sulla funzione degli oggetti quotidiani e sulla loro reinterpretazione.
PUTPUT
Tra chi si pone queste domande, troviamo lo studio danese PUTPUT: il duo reinterpreta gli strumenti con cui veniamo a contatto ogni giorno trasformandoli in prodotti inaspettati nonché in oggetti particolarmente frustranti perché disfunzionali.




Courtesy PUTPUT
Un martello con catena cui la precisione sembra essere un optional… riuscireste mai a usarlo senza che capiti il peggio? Noi ovviamente non ci abbiamo provato ma… a prescindere è meglio non rischiare!
E la teiera blu che serve del tè bollente a se stessa? Resa del tutto inutilizzabile, così come il rullo per dipingere con la conchiglia: solo per imbiancare 1mq di muro, noi ci impiegheremmo cinque anni.
E infine, una sedia rossa con schienale “candeloso” da accendere per non farci mancare un’atmosfera più intima, occhio però che potresti arderti il cappotto senza accorgertene!
Katerina Kamprani
La designer greca Katerina Kamprani con il suo progetto “The Uncomfortable” ha trasformato gli oggetti quotidiani in progetti di design volutamente “cattivi”, e anche qui la frustrazione non è da meno.






Riuscireste a stare comodi su una sedia con seduta convessa? E a mangiare con posate tanto spesse? Con la chiave siamo pronti a romperci qualche unghia pur di aprire la porta, e con la forchetta a catenina, beh, non saremmo proprio contenti di rinunciare a un buon pasto.
Rolf Sachs
Creando un lavoro che offusca le distinzioni tra arte e design, Rolf Sachs sfida le applicazioni preconcette di materiali e oggetti di uso quotidiano. Queste sedie Koeln, illustrano il conflitto tra forma e funzione, lasciando un’impressione meramente estetica della sedia.






Foto di rolfsachs.com
“Can’t sit still” è una sedia che non è in grado di stare in piedi e non ha alcuna funzione pratica.
La sedia “Spineless” è fusa in gomma siliconica flessibile e appesa, molle e incapace di obbedire al soggetto, che mette in discussione la funzione stessa della sedia e il nostro rapporto con esso.
Con un ottimo senso dell’umorismo, l’artista Giuseppe Colarusso s’interroga, attraverso il suo progetto “Improbabilità”, sull’utilità degli oggetti di tutti i giorni.





Foto di giuseppecolarusso.it
T’interessa perdere facile con la racchetta da ping pong bucata? Riusciresti ad aprire una porta con quella chiave? E al solo pensiero di utilizzare il lavandino senza scarico, siamo già chinati con il panno ad asciugare per terra.
Jaime Pitarch
Rendere incapace l’uomo di identificarsi con gli oggetti che ha creato: questo il fine ultimo del lavoro di Jaime Pitarch, artista spagnolo che ha ideato una serie di sculture partendo da oggetti di uso quotidiano.



Foto di Collateral Magazine
Ancora una volta vediamo reinterpretata la sedia, altissima che si erge sulle sue quattro solide gambe, o fragile che si regge su sottili punte: su entrambe non oseremmo mai sederci. Eppure gli addendi son sempre gli stessi, uno schienale, una seduta e quattro gambe.
Museo Nonseum, Herrnbaumgarten Austria
Infine, c’è chi del paradosso ne ha fatto uno statement: è chiamato Nonseum o Museo delle invenzioni inutili ed è stato istituito nel 1984 da Fritz Gall. Attraverso una schiera di dispositivi reinterpretati, i turisti sono portati a chiedersi come e perché un oggetto funzioni effettivamente.




Foto di repubblica.it, focus.it
GLI ADDENDI SON SEMPRE GLI STESSI – ma la funzione no
Abbiamo visto come questi artisti stressano il concetto per evidenziare l’importanza dell’usabilità dei prodotti. Adesso che ne abbiamo paradossalmente private le funzioni, ecco che piano piano riacquistano il loro senso originario.
Riusciremo a guardare gli oggetti quotidiani con occhi diversi?
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